San Maurizio al Monastero Maggiore, la cappella Sistina di Milano: in piazza Magenta, dietro una facciata in pietra grigia di Ornavasso, ci aspetta uno tra i maggiori tesori del patrimonio artistico milanese. Cercare di rendere in poche righe l’incanto che si dispiega al nostro sguardo una volta varcato il portone di questa chiesa è impresa ardua e riduttiva. Ad accoglierci troviamo infatti un trionfo di colori e di ori, di dipinti e di stucchi, che rendono San Maurizio un gioiello del rinascimento lombardo.

San Maurizio al Monastero Maggiore: la storia

Come suggerisce l’appellativo stesso, San Maurizio nasce originariamente come chiesa del più antico monastero femminile di Milano, il Monastero Maggiore. Tuttavia l’edificio sacro venne progettato per essere fruito non solo dalle monache di clausura dell’annesso cenobio ma anche per essere la cittadinanza. I lavori per l’edificazione di San Maurizio iniziarono nel 1503, andando a interessare un’area su cui erano presenti importanti resti di edifici romani.

Come abbiamo detto, quest’aerea ospitava, a partire dall’età carolingia e fino al 1798, il più importante Monastero benedettino femminile di Milano. Le monache di tale ordine provenivano per la maggior parte dalle famiglie più importanti e più ricche della città e fu proprio grazie alle loro donazioni che fu possibile realizzare le magnifiche decorazioni della chiesa stessa. Tra i committenti più generosi figurano la dinastia degli Sforza, nella figura di Ippolita e del marito Alessandro Bentivoglio: non a caso la loro figlia Bianca divenne, nel 1522 , badessa del monastero con il nome di suor Alessandra. Ed è molto probabile che i due committenti siano stati raffigurati nelle lunette del tramezzo nell’aula dei fedeli, ritratti nell’atto di inginocchiarsi e contornati da santi.


In seguito all’abolizione degli ordini monastici e alla nuova urbanistica cittadina, con l’apertura delle vie Ansperto (a partire dal 1865) e Luini (nel 1867), il convento fu soppresso nel 1798 e da quel momento andò incontro a diverse destinazioni d’uso: venne infatti adibito prima a caserma, poi a scuola femminile e nel corso dell’Ottocento a ospedale militare. Infine, a partire dal 1964, il monastero divenne sede del Museo Archeologico di Milano.
La chiesa originaria, e il monastero annesso, erano originariamente intitolati a Maria: l’intitolazione a San Maurizio compare a partire dall’XI secolo e sarà dal 1148, con papa Eugenio III, che il monastero e la chiesa verranno conosciuti solo con l’appellativo di San Maurizio.
L’incarico per la costruzione di San Maurizio venne affidato a due tra i più importanti architetti dell’epoca, il Dolcebuono e l’Amadeo, i cui talenti erano già stati all’opera nel cantiere del Duomo di Milano, in Santa Maria delle Grazie, in Santa Maria presso San Celso e alla Certosa di Pavia.
Proprio per la differenziazione della popolazione cui era rivolta, con la netta separazione tra cittadinanza e monache di clausura che non vietava qualsiasi contatto tra i due gruppi, San Maurizio venne suddivisa a metà, per assicurare la più rigida divisione tra i due gruppi di fedeli. Tale suddivisione venne garantita da un’originale disposizione degli spazi interni: San Maurizio presenta infatti una pianta rettangolare allungata a navata unica, suddivisa a metà da un tramezzo affrescato, il coro delle monache, che serviva, appunto, a separare la metà pubblica, quella verso la strada, dalla parte posteriore riservata alle monache di clausura. Queste ultime potevano assistere alle celebrazioni liturgiche e accedere alla comunione attraverso una grata collocata sul tramezzo stesso. Tale grata venne poi ulteriormente ristretta per ordine di Carlo Borromeo con l’intento di rendere ancora più rigido il regime claustrale. Fu solo verso la metà dell’Ottocento, in seguito alla soppressione del convento, che furono aperte le porte di comunicazione tra le due parti della chiesa.

San Maurizio al Monastero Maggiore: gli affreschi

Senza alcun dubbio, ciò che contraddistingue San Maurizio, rendendola un esemplare unico e prezioso all’interno del vasto patrimonio artistico italiano e lombardo, sono gli affreschi del Luini che qui ha creato una vera e propria magia. Ogni angolo della chiesa è infatti ricoperto da un tripudio di dipinti, stucchi, affreschi realizzati da Bernardino Luini e dalla sua scuola, che hanno operato tra le mura di San Maurizio per sette anni, dal 1522 al 1529, ritraendo storie di santi, parabole, episodi biblici e della vita di Cristo, che costituiscono una straordinaria espressione della pittura rinascimentale lombarda. I particolari su cui soffermarsi sono pressoché infiniti, al punto da rendere necessaria più di una visita: si va infatti da quelli che risaltano immediatamente agli occhi, anche a quelli più inesperti, come il grande affresco nel Coro delle Monache che raffigura l’arca di Noè, con il suo bestiario ricco e fantastico, comprendente anche due unicorni, agli affreschi sul tramezzo, tra cui il martirio di San Maurizio e San Sigismondo che offre a San Maurizio il modello della chiesa.

Abbiamo poi un magnifico cielo stellato sotto il coro, un’enigmatica figura ritratta di spalle nella parte pubblica della chiesa che sembra rivolgere lo sguardo verso lontananze insondabili e sopra una piccola porta d’ingresso una dolorosa Deposizione.


Le opere realizzate da Bernardino Luini resero San Maurizio un vero e proprio cantiere della tradizione pittorica lombarda, assegnandole un ruolo di avanguardia per le proposte artistiche e per il netto orientamento verso la maniera moderna e il nuovo classicismo del primo Cinquecento.
Ma non solo il Luini prestò la sua mano per la realizzazione delle decorazioni di San Maurizio: qui sono presenti anche capolavori di Boltraffio, allievo di Leonardo, di Vincenzo Foppa, dei fratelli Campi e di Simone Peterzano, il maestro di Caravaggio.

San Maurizio - Antonio Campi, Adorazione dei Magi
San Maurizio – Antonio Campi, Adorazione dei Magi
Simone Peterzano - Ritorno del figliol prodigo e Cristo che caccia i mercanti dal tempio
Simone Peterzano – Ritorno del figliol prodigo e Cristo che caccia i mercanti dal tempio

San Maurizio al Monastero Maggiore – la struttura

San Maurizio è un tesoro dell’arte lombarda non solo per i suoi meravigliosi affreschi ma anche per l’eleganza e l’alta qualità delle soluzioni architettoniche scelte per l’edifico, che risultano inconsuete per la Milano di quegli anni. Insolita ad esempio è la pianta della chiesa che rispecchia un ordine di geometrica purezza: una navata unica, divisa in dieci campate da contrafforti angolari. Inoltre il tramezzo che a livello della quarta campata separa la parte pubblica da quella riservata alle monache non è un semplice tramezzo tirato su alla bell’e meglio: si tratta, infatti, di una parete trasversale su cui poggia, da un lato, un singolare pontile tracciato ad arco ellittico. Tale soluzione architettonica si rivelò talmente ben riuscita e di notevole impatto visivo da diventare non solo un modello fondamentale per tutte le chiese di monasteri femminili milanesi ma da venire esplicitamente indicato come esempio da seguire da Carlo Borromeo, nella parte delle sue Istructiones dedicata a come edificare in modo conveniente la chiese monacali.

Tutta la struttura architettonica di San Maurizio è improntata all’eleganza e alla raffinatezza: le cappelle con volta a botte e arco d’ingresso a tutto sesto, il matroneo con le sue particolari trifore, la parte superiore del registro finale sormontata da uno splendido rosone. A svettare su tutto la grande volta a botte riccamente adornata da cornicioni decorativi, tra loro intrecciati.

Inoltre essendo stata edificata sulle rovine del circo romano cittadino, la chiesa di San Maurizio ha finito con l’inglobare nella sua struttura alcuni elementi dell’edificio romano preesistente, come, alle spalle della chiesa, la torre quadrangolare sovrastata da una loggia medioevale facente parte dei recinti del circo romano da cui partivano le corse dei carri e che venne utilizzata come campanile della chiesa fino alla soppressione del monastero.

San Maurizio al Monastero Maggiore – il chiostro e l’organo

Come abbiamo detto, complice il fatto di sorgere sulle rovine del circo romano, il chiostro di San Maurizio ospita oggi il Museo Archeologico dove è possibile ammirare nei sotterranei, in passato lambiti dal Seveso, le mura imperiali, conservate in tutta la loro magnificenza. Sono presenti inoltre due torri romane entrambe di fine III – inizi IV secolo d.C., che si sono mantenute intatte fino al tetto: una di forma quadrata, era il punto di partenza delle corse di cavalli mentre l’altra, un poligono di ben ventiquattro lati, faceva parte della cerchia delle mura romane. Il percorso di visita del Museo Archeologico comprende anche la cripta originariamente progettata insieme alla chiesa.

San Maurizio - torri romane
San Maurizio – torri romane

La chiesa di San Maurizio è rinomata anche per il pregiato organo cinquecentesco, situato al centro del coro delle monache e realizzato tra il 1554 e 1557 da Gian Giacomo Antegnati. Si tratta di uno strumento imponente a trasmissione meccanica costituito da 50 note ed una pedaliera di 20, con ante meravigliosamente dipinte a tempera da Francesco Medici da Seregno. Nel corso del XIX secolo l’organo subì alcune modifiche, per andare incontrato ai mutati gusti musicali: solo agli inizi del 1980 si è deciso di riportarlo verso i caratteri sonori originari attraverso un’importante opera di restauro. Attualmente, proprio intorno a questo notevole strumento, vengono organizzati eventi culturali e raffinati concerti, tra i quali ‘Milano artemusica’.

San Maurizio al Monastero Maggiore – Bernardino Luini

Bernardino Luini, l’autore dei capolavori di San Maurizio al Monastero Maggiore, è pittore avvolto dal mistero: sono le sue opere a parlare, mentre della sua biografia sono pochi i dettagli conosciuti, a partire dalla data di nascita, ipotizzata intorno agli anni 1481-82. Più certo il luogo che diede i natali al pittore: Dumenza, piccolo paese sul Lago Maggiore ai confini con il Canton Ticino. L’educazione artistica di Luini è anch’essa nebulosa: probabilmente il pittore si formò in Veneto, a Verona, per poi trovare la sua dimensione e la sua fortuna a Milano e in terra lombarda. Già agli inizi del ‘500 viene infatti citato come appartenente a un gruppo di pittori lombardi, sebbene non si sappia a quale corrente pittorica facesse capo. La produzione di Luini fu vasta, spaziando da temi religiosi a committenze private: tuttavia la sua fortuna andò scemando nel corso dei secoli, vittima di un pregiudizio che lo riteneva semplicemente un pedissequo imitatore del ben più geniale Leonardo. Fu solo intorno all’Ottocento che la sua opera tornò in auge, trovando estimatori del calibro di Stendhal, che addirittura raccomandava di visitare i suoi affreschi di Saronno per dire “addio alla bella pittura d’Italia”, e poi agli inizi del Novecento, soprattutto tra i grandi pittori francesi come Degas e Renoir. La riscoperta definitiva avvenne intorno al 1940, su impulso di Roberto Longhi, storico dell’arte e critico d’arte, che ravvisò nel Luini un pittore autonomo che rientrava a pieno titolo “nella reale storia dell’arte”, a differenza dei malintesi cui era andato soggetto nel corso dei secoli. Se da una parte le opere di Luini sono chiaramente ispirate da Leonardo, è indubbio che l’artista aggiunse un tocco personale che gli permise di staccarsi dal suo genio vinciano, trovando la propria autonoma strada pittorica: ad esempio l’uso di tinte delicate, con cui delineò figure di santi in splendide cornici naturali, la capacità di rendere anche su tele di piccolo formato morbidezza e delicatezza dei toni, un delicatissimo sfumato unito a un forte rigore prospettico. A ciò si aggiunge la straordinaria abilità nel ritrarre gli scenari naturali: per rivivere i paesaggi della Lombardia del primo Cinquecento, basterebbe uno sguardo alle sue tele. Anche la resa dei dettagli risulta stupefacente: basta citare a questo proposito, uno dei capolavori custoditi nella Pinacoteca di Brera, la “Madonna del Roseto” dove i boccioli delle rose sono resi nei minimi dettagli con un’accuratezza da togliere il fiato.

Numerosi furono gli incarichi affidati a Luini: rappresentazioni sacre che si possono ammirare non solo a San Maurizio al Monastero Maggiore ma anche alla Certosa di Pavia, all’Abbazia di Chiaravalle, a Santa Maria della Passione a Milano e Lugano dove sul tramezzo della chiesa di a Santa Maria degli Angeli è raffigurata una magnifica “Passione e Crocifissione”. Ma come abbiamo detto, numerose furono anche le committenze private, la più notevole delle quali, quella che lo consacrò definitivamente, giunse dalla ricca famiglia nobiliare dei Rabia, che lo incaricò di affrescare le pareti della loro Villa La Pelucca di Monza.

Bernardino Luini - Passione e Crocifissione - Lugano
Bernardino Luini – Passione e Crocifissione – Lugano

Il monachesimo femminile

Qualche indizio sulla prima storia delle monache benedettine è deducibile dalla vita di san Benedetto composta da Gregorio Magno in cui si fa cenno a donne consacrate assistite spiritualmente dai monaci di Benedetto. La fondazione delle benedettine viene fatta risalire alla sorella di Benedetto Scolastica: quando il fratello fondò l’abbazia di Montecassino, a circa 7 km a sud dell’abbazia ella fondò il monastero di Piumarola, dove assieme alle consorelle seguì la Regola di San Benedetto dando origine al ramo femminile dell’ordine benedettino. Le reliquie di Scolastica e Benedetto sono conservate sotto l’altare maggiore della Basilica di Montecassino.

Le benedettine sono religiose claustrali che, come suggerisce il nome stesso, osservano la regola di san Benedetto. Sono organizzate in monasteri autonomi ciascuno dei quali mantiene ed è dedito alla celebrazione dell’ufficio divino e ad attività specializzate e particolari. Queste ultime spaziano in ambienti disparati: ospitalità, educazione, lavoro agricolo, restauro e conservazione dei libri antichi, organizzazione di ritiri spirituali, solo per citare alcuni esempi. I monasteri, raggruppati in federazioni, sono retti da una badessa eletta. Abbiamo detto che le Benedettine sono religiose soggette alla clausura, vale a dire che è proibito sia l’ingresso in monastero degli esterni, sia l’uscita delle monache. Santa Scolastica riteneva fondamentale questa regola, raccomandando di osservare la regola del silenzio e di evitare soprattutto la conversazione con persone estranee al monastero, anche nel caso di persone devote in visita.

Sulla scia di questa corrente, lo stesso Concilio di Trento, riconobbe alla clausura un valore supremo. Nei documenti relativi ai monasteri viene di conseguenza riservata enorme attenzione alla collocazione di grate in tutte le porte e le finestre, all’affidamento delle chiavi, al controllo del rispetto della clausura da parte delle monache. L’avvicinarsi alle grate era consentito solo ai parenti consanguinei, ed ogni incontro doveva essere autorizzato dal Vicario.

La vita all’interno del monastero benedettino femminile prevedeva l’obbedienza indiscussa alla Madre Badessa che era depositaria di “saggezza, sagacia e ponderazione”; questa avrebbe dovuto vigilare sulla spiritualità e comportamento delle monache, occupandosi della chiusura ed apertura delle porte del convento, essendo essa la prima ad alzarsi e l’ultima ad andare a letto, compiti questi che solo in casi estremi di infermità della stessa potevano essere delegati alla vicaria.

San Maurizio al Monastero Maggiore: come arrivare

San Maurizio si trova in corso Magenta 15 ed è facilmente raggiungibile partendo dalla sede di International Residence in via Gustavo Modena utilizzando sia mezzi di superficie (linea 61) sia sotterranei (linea 1 della metropolitana) le cui fermate sono situate tutti a pochi passi di distanza dalla sede di International Residence.

Approfondimenti

Per programmare una visita a San Maurizio al Monastero Maggiore consigliamo di visitare la pagina ufficiale del Museo Archeologico: https://www.museoarcheologicomilano.it/oltre-il-museo/la-chiesa-s.-maurizio-al-monastero-maggiore/la-storia-della-chiesa

Per approfondimenti su argomenti inerenti rimandiamo alle seguenti risorse: Abbazia di Chiaravalle: 1135-2021, Santa Maria della Passione – 1485