1. Gradella
  2. Pandino
  3. Soncino
  4. Pizzighettone
  5. Concludendo il viaggio

La Lombardia è caratterizzata dalla presenza di numerosi borghi che conservano fattezze medioevali, mantenendo quasi inalterata l’atmosfera di quello che è stato il passato di questa terra. Un passato che fortunatamente riusciamo quasi a toccare con mano, grazie all’ottimo stato di conservazione delle antiche vestigia di questi borghi, ottenuto per merito di un’oculata politica di tutela del territorio.

Molti di questi borghi sono inoltre stati inseriti nella lista dei borghi più belli di Italia e si trovano a pochi passi da Milano, potendo quindi essere visitati in una giornata o in un fine settimana.

Partiamo quindi con questo piccolo viaggio per borghi, alla volta della provincia di Cremona.


Gradella (Cremona)

Eccoci alla prima tappa e iniziamo con il botto, come si suol dire. Gradella è infatti stato inserito tra i borghi più belli d’Italia e si trova a due passi da Milano, nella provincia di Cremona. Si raggiunge facilmente in 40 minuti, con partenza dalla nostra sede di via Gustavo Modena.

Già solo il lungo viale alberato che conduce al paese vale la pena di una visita: qui si mantiene intatto l’impianto rurale originale e dominano i colori ocra delle cascine, profilate di mattoni rossi e affacciate su ampie corti tra loro comunicanti. Gradella è borgo antico: viene infatti menzionato per la prima volta nel 1186, quando Federico Barbarossa lo cede a Milano assieme ad altri possedimenti. Stranamente, il passaggio di Napoleone qui non ha arrecato danni, a differenza di quanto accaduto per altri borghi italiani: anzi, non solo l’imperatore francese risparmiò Gradella ma si è giovato del suo panorama per riposarsi prima della battaglia di Lodi combattuta contro gli austriaci.
Qui, tra le mucche al pascolo, può capitare di incontrare gruppi di daini, discendenti di quelli introdotti dalla famiglia cui si deve l’unità architettonica di questo borgo: i conti Maggi, che iniziarono ad acquistare terreni e case a Gradella a partire dal 1558 per diventarne unici proprietari nel 1692, ottenendo dal re Carlo II di Spagna l’investitura del Feudo. L’ultimo discendente della famiglia è stato Aymo Maggi, che oltre ad aver realizzato numerose infrastrutture per il borgo (le scuole, l’asilo, l’acquedotto, i bagni pubblici e il campo sportivo) fu anche uno dei creatori e organizzatori della Mille Miglia. Alla morte di Aymo il borgo è stato ceduto a privati con il vincolo di gestire in maniera oculata il territorio agricolo. In maniera analoga l’amministrazione Comunale, attraverso un attento piano regolatore, si è impegnata negli anni a tutelare il patrimonio. Infatti qui, a differenza di altri borghi, non è possibile l’espansione edilizia ma solo il recupero del patrimonio esistente, salvaguardandone i criteri costruttivi tradizionali: i manti di copertura in coppi, i serramenti in legno, la gamma terrosa degli intonaci, i rivestimenti rustici.
Proseguendo la nostra passeggiata per il borgo, alla sua estremità incontriamo la villa della famiglia Maggi, con il suo impianto secentesco, aperta da archi in un ampio porticato.
Inoltre, se vogliamo aggiungere un ulteriore elemento di fascino a questo borgo, nelle sue campagne sono presenti fontanili di acqua sorgiva, patrimonio ambientale del territorio. Come è tipico dei nostri borghi, anche qui troviamo un castello a pochi chilometri di distanza, verso cui proseguiremo il nostro viaggio: il Castello di Pandino, fatto erigere dal già più volte incontrato Bernabò Visconti, Signore di Milano (Qui un precedente articolo), intorno al 1355 per destinarlo a dimora di svago e caccia.
E sempre parlando di tipicità dei borghi, non possiamo non citare un prodotto tipico di queste terre, il Pannerone, un formaggio dal sapore molto particolare in quanto non prevede l’uso del sale e che, oltre ad essere tutelato da un Presidio Slow Food, è riconosciuto dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali come prodotto agroalimentare tradizionale italiano.


Pandino – Cremona

Come promesso, ora rechiamoci al Castello Visconteo a Pandino, uno dei migliori esempi dell’architettura fortificata viscontea trecentesca realizzata nei nostri borghi. Il castello è stato edificato a partire dal 1355 circa per volere di Bernabò Visconti e di Regina della Scala come residenza di caccia. Fino a quel momento Pandino era solo un piccolo borgo sonnacchioso, abitato da poche anime: l’insediamento dei Visconti costituì pertanto una vera e proprio rivoluzione per questi territori, comportando una riqualificazione dell’intera aera. Da quel momento infatti la zona di Pandino divenne una calamita per molte persone che gravitavano o aspiravano a gravitare intorno ai potenti Visconti.
Il castello di Pandino presenta una struttura simile a quella della maggior parte delle costruzioni fortificate di quel periodo e di altri borghi: una pianta quadrata con torri angolari e un cortile con portici a sesto acuto sovrastato da un loggiato. Le decorazioni originarie del portico, del loggiato e delle stanze, con i loro motivi geometrici alternati alle insegne nobiliari dei Visconti e dei della Scala sono in ottimo stato di conservazione, così come le strutture architettoniche originarie. Oltre all’arena interna e il loggiato superiore con copertura a capriate, il castello ospita numerose stanze affrescate con pitture originali del XIV secolo. Inoltre sono presenti ambienti dedicate alla vita medievale: sala della caccia, sala del drago Tarantasio, sala dei Tarocchi.
Un’ultima annotazione prima di procedere verso la nostra nuova tappa per i borghi nei dintorni di Milano. Come abbiamo già avuto modo di dire, il territorio che circonda sia Pandino che Gradella è ricco di fontanili (dette anche risorgive), un fenomeno peculiare che dipende dalla struttura geologica e dalla composizione del suolo della pianura padana. Quest’ultimo infatti nella parte dell’alta pianura (la parte più settentrionale) è costituito da materiali grossolani, quali ciottoli e ghiaia, attraverso cui le acque formano una falda a profondità variabile, che scorre verso l’asse della pianura stessa costituito dal fiume Po. Durante questo percorso le dimensioni dei materiali di cui sopra diminuiscono progressivamente al punto da diventare sabbia e argilla in prossimità della bassa pianura, creando i presupposti per una nuova condizione idrogeologica. Le argille, infatti, con la loro impermeabilità, ostacolano il flusso della falda costringendola in parte ad affiorare, dando così vita al fenomeno delle risorgive. Dalle risorgive la paziente mano dei nostri antenati ha creato un sistema di irrigazione caratterizzati da peculiari condizioni di vita, favorite anche dall’alberatura che costeggia le sponde dei fontanili e dei canali ad essa collegati, alberatura che in alcuni punti assume un piacevole aspetto boschivo. Purtroppo con il passare del tempo l’uso dei fontanili per l’agricoltura è andando scemando e di conseguenza non si è più provveduto al loro mantenimento, mettendone così a rischio l’esistenza stessa. Per questo motivo L’Amministrazione Comunale ha messo in atto in questi anni un progetto di riqualificazione dei fontanili esistenti sul proprio territorio, che costituiscono un prezioso habitat naturale per la flora acquatica e per diverse specie animali che qui trovano spazi per nidificare. Il progetto di recupero del Comune di Pandino è quindi un esempio pratico e concreto di quella sostenibilità di cui tanto si parla ma che spesso si limita a rimanere solo vuota parola.

Pagina ufficiale comune Pandino

Sito Pro Loco Soncino


Soncino

Rimaniamo sempre in provincia di Cremona e rechiamo presso un altro dei borghi più belli d’Italia, Soncino. Anche questa meta si raggiunge facilmente dalla nostra sede, in un’oretta scarsa di strada.

Qui dovremmo prenderci un po’ più di tempo rispetto a quanto riservato a Gradella, perché sono numerose le attrazioni di questo borgo.
Il primo impatto visivo con Soncino è dato dall’imponente rocca e dalle mura che lo circondano: fermiamoci un attimo ad ammirarle, prima di entrare nel borgo vero e proprio. Le mura costituiscono uno spettacolo unico, con i loro due chilometri di estensione e il loro antico impianto urbanistico, rimasto fortunatamente inalterato nel corso del tempo. In questo borgo sembra davvero che il tempo si sia fermato e non è difficile immaginare la vita che doveva scorrervi: i cavalieri e le dame, gli armigeri, i carri in transito lungo i ponti levatoi che permettevano il passaggio del fossato a difesa della rocca. La costruzione della cinta muraria venne iniziata dal Podestà Buoso Dovara e poi ampliata da Francesco Sforza. Nonostante ciò le mura vengono chiamate “venete” poiché il loro rinnovamento fu, appunto, iniziato dai Veneti pochi mesi prima dalla loro cacciata da queste terre per mano dei Milanesi.
Quindi sia le mura che la rocca risalgono al XV secolo ma l’aspetto odierno della fortezza è dovuto a un ampliamento di una struttura preesistente, nello specifico dell’adattamento di un preesistente torrione. I lavori per l’approntamento della nuova fortezza presero avvio nel 1473, su progetto di Bartolomeo Gadio e saranno ultimati entro il 1475: quindi un lasso di tempo estremamente breve, soprattutto se paragonato a quello impiegato per la costruzione di altre nostre opere (moderne e non). Inizialmente pensata per funzioni prettamente militari, la rocca venne successivamente convertita a dimora residenziale con pregevoli interventi di decorazione pittorica e la realizzazione della cappella ricavata nella torre di sud-est. Per quanto riguarda la proprietà, la rocca fu per lungo tempo possedimento della famiglia Stampa: il marchese Ermete I fu colui che decise di aggiungere alla rocca il rivellino, ossia uno sbarramento fortificato, che doveva assorbire gli sforzi di sfondamento degli assalitori. A quanto pare il marchese non nutriva molta fiducia nei suoi sudditi dal momento che il rivellino stesse venne rivolto verso il borgo, ossia proprio verso i suoi sudditi. Dal rivellino è poi possibile accedere alla rocca attraverso due ponti levatoi e arrivare così al cortile principale, di base quadrata, dotato di quattro torri sugli angoli di cui la più notevole è sicuramente la Torre del capitano. Questa torre di 6 piani, come dice il nome, era adibita ad abitazione del comandante e per questo dotata di cucina con particolari volte unghiate e camera da letto. Invece nei tre piani sotterranei (visitabili) erano stati ricavati gli spazi impiegati come cantina e come prigione. La torre del capitano era collegata al resto degli spalti attraverso un ponte levatoio che poteva essere chiuso, assicurando in questo l’isolamento della torre dal resto del complesso in caso di necessità.
Passeggiare su queste mura, in qualsiasi condizione climatica, è davvero un’esperienza suggestiva, data anche dal fatto di trovarci presso una tra le rocche meglio conservate dei borghi del Nord Italia. L’ottimo stato di conservazione non è frutto del caso in quanto il castello ha rischiato di essere vittima del degrado. L’ultimo erede della famiglia Stampa ha infatti lasciato la rocca nel 1876 ridotta quasi a un rudere. Solo successivamente venne chiamato a intervenire, l’architetto Luca Beltrami, lo stesso che ricostruì il Castello Sforzesco di Milano, il quale mise mano a un lavoro di restauro seguendo i canoni del ripristino architettonico storico, basato sulle testimonianze degli archivi. Non è solo l’esterno a conservare intatte le vestigia del passato: infatti anche gli ambienti interni sono stati restaurati seguendo il medesimo principio.
Lasciamo un po’a malincuore la rocca e addentriamoci nel paese. Il centro storico di Soncino ha un impianto urbanistico medievale, caratterizzato da strade strette e da palazzi che si distinguono per le raffinate decorazioni in terracotta, testimonianza della lunga tradizione locale nell’impiego di questa materia.
Soncino non si distingue solo per l’imponente rocca: un’altra caratteristica infatti lo rende un unicum tra i borghi lombardi. Stiamo parlando dell’antica tradizione della stampa, importata dalla Germania da Israel Nathan, membro di una famiglia ebraica di Spira. Soncino fu infatti uno tra i primi borghi ad eccellere in questa tecnica, dando alle stampe il primo libro nel 1483, solo 28 anni dopo l’invenzione di Gutenberg: un’edizione del Talmud Babilonese Messeket Barakot (trattato “Benedizioni”) e soprattutto la prima Bibbia ebraica completa di accenti e vocali. La Casa degli Stampatori (visitabile con lo stesso biglietto valido per la Rocca) è appunto testimonianza di questa tradizione, dando la possibilità di ammirare le attrezzature di una vecchia stamperia, con i caratteri mobili in legno e piombo e le lettere dell’alfabeto ebraico.
Infine per ragioni di spazio ci limitiamo a citare solo altre luoghi da visitare in questo borgo: la chiesa di Santa Maria delle Grazie del 1501, la più antica pieve (con questo termine si indicavano circoscrizioni ecclesiastiche minori) della diocesi cremonese chiesa di Santa Maria Assunta, la chiesa di San Giacomo con la sua torre ottagonale e l’oratorio di S. Maria Nascente o S. Maria della Neve del 1510 con le sue volte color del mare.
Per ultimo, rimaniamo in tema di eccellenze dei nostri borghi, spostandoci sul versante enogastronomico: Soncino è infatti nota per la produzione di radici amare, di cui ogni anno a fine ottobre si tiene la sagra, quest’anno prevista il domenica 27 ottobre.

http://www.comune.soncino.cr.it/


Pizzighettone – Cremona

Pizzighettone è un altro borgo lombardo da visitare a meno di un’ora di strada dalla nostra sede di via Gustavo Modena, un altro borgo circondato da mura che lo rendono uno dei borghi più suggestivi del territorio: la struttura della sua cinta muraria bastionata infatti è rimasta pressoché inalterata nel corso del tempo. A rendere il paesaggio ancora più suggestivo è il fiume Adda, che taglia in due il paese e sulle cui due sponde corrono le mura di Pizzighettone: non a caso Pizzighettone è chiamata la fortezza sull’Adda.
Quella che ci si para di fronte è un complesso difensivo che si estende per due chilometri e che abbraccia il centro storico, proteggendo gioielli architettonici come la Torre del Guado, la parrocchiale di S. Bassiano, la più antica del paese, al cui interno si staglia la grandiosa Crocifissione di Bernardino Campi oltre a tre altorilievi trecenteschi in marmo. Le mura hanno un’altezza di 12 metri, una larghezza di 15 ed uno spessore murario che raggiunge mediamente i 3,60 metri.
La costruzione del primo fortilizio circondato da fossato risale al 1133, unitamente alla realizzazione attorno al borgo di una doppia palizzata in legno, rinforzata all’interno da un terrapieno. Con l’arrivo dei Visconti, e del nostro ormai ben conosciuto Bernabò, nel 1370 fu eretta la prima cerchia di mattoni, circondata da una fossa alimentata dalle acque dell’Adda e munita di quattro porte.
L’attuale aspetto della cinta muraria risale al 1650 circa quando gli Spagnoli procedettero al rifacimento delle precedenti difese. Un ulteriore intervento venne poi eseguito dagli Austriaci nel 1720. Anche qui, come a Soncino, possiamo attardarci in passeggiata lungo le mura, visitarne le affascinanti casematte disposte a semicerchio e dalle caratteristiche volte a botte. Inoltre Pizzighettone è l’unico, tra i borghi europei, a presentare collegamenti diretti tra le casematte della sua cinta muraria.
E ovviamente, come nelle migliori rappresentazioni dei borghi fortificati, anche qui abbiamo un fossato a ulteriore difesa della cittadinanza e un rivellino, struttura difensiva che abbiamo già avuto modo di osservare alla rocca di Soncino. Il lato sud-orientale delle mura termina con la polveriera San Giuliano, mentre la zona settentrionale ospita le celle dell’ergastolo austriaco.
Abbiamo citato i gioielli conservati a Pizzighettone, quindi vediamoli meglio. Iniziamo con la chiesa parrocchiale di San Bassiano, d’impronta romanico-lombarda ed edificata nel 1158 dai Lodigiani rifugiatisi a Pizzighettone dopo la distruzione di Lodi da parte dei Milanesi. Tra gli elementi di maggior pregio, il rosone con mattonelle recanti simboli sforzeschi (1467) sulla facciata di impianto romanico, e le opere conservate all’interno, tra cui la già citata Crocifissione affrescata da Bernardino Campi (1522-1591) in controfacciata.
Nella borgata di Gera, raggiungibile attraverso il ponte sull’Adda “Trento e Trieste”, troviamo palazzi di epoca quattro-cinquecentesca e la chiesa Santi Rocco e Sebastiano (1486), che ospita notevoli dipinti di scuola cremonese. Anche la borgata di Gera è completamente circondata da mura a doppia corona con tre baluardi, che conservano anch’esse i suggestivi ambienti delle casematte. Sempre nei pressi del ponte sull’Adda si staglia la torre del Guado, a pianta quadrata e merlata, unica testimonianza integra dell’antico castello e tra le cui mura fu imprigionato il sovrano francese Francesco I di Valois, sconfitto nella battaglia di Pavia dalle truppe dell’imperatore spagnolo Carlo V.
E come da tradizione anche qui, come nella maggior parte dei nostri borghi, si tiene a fine mese una sagra enogastronomica che potrebbe invogliarci ulteriormente a programmare una visita. Infatti a Pizzighettone, nella suggestiva cornice delle casematte, si svolge una manifestazione in cui si può degustare il piatto tipico delle terre tra Lodi e Cremona, il “Fasulìn de l’öc cun” (ossia i fagioli dall’occhio) ma anche il provolone Pizzighettone e il biscotto di Pizzighettone.

Pagina ufficiale comune Pizzighettone


Concludendo il viaggio

Siamo quindi giunti alla fine di questa prima tappa alla scoperta dei borghi della Lombardia.

Ma appunto, è solo la prima tappa, per cui restate con noi perché altri borghi ci attendono!